Gabriele Parenti |
Gabriele Parenti concilia l’attività di storico con quella di giornalista ritenendo che esse abbiano molti punti in comune: l’analisi e l’interpretazione dei fatti, il vaglio delle opinioni che su di essi sono state espresse, il profilo psicologico dei personaggi. Inoltre, in entrambi i casi occorre passione per l’approfondimento e la ricerca.
GABRIELE PARENTI LUIGI XV E LO SCENARIO EUROPEO NEL XVIII SECOLO Dalla prefazione di Isabelle Mallez
Gabriele Parenti -ha scritto Isabelle Mallez Console francese a Firenze e Direttrice dell’Institut français - “ha scelto d’interrogare la politica estera di Luigi XV in tutte le sue sfaccettature europee e di esplorare il denso materiale di quel periodo adottando un angolo italofrancese. Seguendo la logica di questa sua ricerca, mi preme sottolineare che quel re fu effettivamente, con la sua rete di corrispondenti in tutta Europa, e nel senso precursore dell’espressione, un attore della storia europea”. Isabelle Mallez sottolinea che “queste osservazioni s’impongono in un momento in cui sembra così necessario aprire le coscienze verso una storia che non sia più soltanto nazionale, ma europea, con ampie prospettive, intrise in una temporalità lunga, anche se per taluni è ancora delicato adottare un punto di vista che prospetti le storie nazionali come categorie di un più ampio quadro europeo.
Dall’Introduzione di Franco Cardini Per lo storico Franco Cardini, il libro sollecita anche una riflessione per una presa di coscienza della storia europea “da parte di un mondo – quello dei paesi dell’UE – nel quale fin troppo, e non sempre correttamente, si è fatto sul piano economico e finanziario e poco o nulla su quello politico e culturale”.
Descrizione del libro
Il libro si rivolge soprattutto alla politica estera di Luigi XV; non intende essere un’esaustiva biografia di Luigi XV, ma esamina la sua azione di governo nel complesso scenario della politica europea dove compì scelte decisive, con risultati alterni, migliori quando il governo fu guidato dal sagace car.Fleury, più deludenti nella seconda parte del suo regno. La responsabilità è stata attribuita a M.me de Pompadour che grazie all’ influenza sul re avrebbe “giocato” a dirigere la politica estera. Qui si afferma ,invece,che le trattative condotte dalla favorita si limitarono ad eseguire le istruzioni del re.
Ci fu ,inoltre, un diverso rapporto tra gli eventi bellici e diplomazia Le battaglie non erano quasi mai decisive; ciò dipendeva dalle caratteristiche degli eserciti e dalle visioni strategiche dell’epoca ma anche da esigenze politiche: si tendeva a sconfiggere il nemico non ad annientarlo. Una completa disfatta avrebbe alimentato la volontà di rivincita mentre l’avversario di oggi poteva essere l’alleato di domani. Si negoziava mentre si combatteva, con frequenti capovolgimenti di fronte. Le guerre del Settecento rispondono appieno alla celebre definizione di von Clausewitz (1830)che “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”. Una battaglia vinta portava un vantaggio in sede di trattative; ma, come ad un tavolo di poker, era importante scegliere il momento per chiudere la partita. Mutatis mutandis,(anche quando non si tratta di conflitti armati ma politici)una situazione analoga si riproduce in ogni era post-ideologica.
Il XVIII fu un secolo di guerre ma con caratteristiche diverse da quelli precedenti. Dalla seconda metà del Seicento, l’era delle guerre di religione lasciò il posto a conflitti dinastici e alle rivendicazioni territoriali. Nel XVIII secolo si fronteggiarono in Europa coalizioni che si modificavano a seconda degli interessi in gioco e la diffidenza tra gli alleati paralizzava la loro azione. Spesso si trattava di accordi tra due nemici per opporsi ad un nemico comune, come osservò Voltaire a proposito del trattato di Worms.
Ma è possibile fare un paragone con i tempi nostri ? Nel 1723, il cardinale Fleury, primo ministro di Luigi XV, si trovò a far fronte alla difficile situazione finanziaria provocata da una spesa pubblica eccessiva. (soprattutto per il mantenimento della corte di Versailles). Fleury sapeva che aggravare una pressione fiscale già troppo elevata, avrebbe compromesso lo sviluppo; si adoperò, allora, con una determinazione inconsueta ai governanti dell’epoca, a ridurre le spese e raggiunse il pareggio di bilancio. A questo punto diminuì le tasse: ciò incrementò il commercio e la produzione manifatturiera. La nuova fase di espansione portò prosperità e maggiori entrate per l’erario.
DAL PRIMO CAPITOLO DEL LIBRO
Dalla seconda metà del Seicento, l’era delle guerre di religione lasciò il posto a conflitti dinastici e alle rivendicazioni territoriali. Nel XVIII secolo si fronteggiarono in Europa coalizioni che si modificavano a seconda degli interessi in gioco e la diffidenza tra gli alleati paralizzava la loro azione. Spesso si trattava di accordi tra due nemici per opporsi ad un nemico comune, come osservò Voltaire a proposito del trattato austro-piemontese di Worms. Le battaglie non erano quasi mai decisive; ciò dipendeva dalle caratteristiche degli eserciti e dalle visioni strategiche dell’epoca ma anche da esigenze politiche: si tendeva a sconfiggere il nemico non ad annientarlo. Una completa disfatta avrebbe alimentato la volontà di rivincita mentre l’avversario di oggi poteva essere l’alleato di domani. Si negoziava mentre si combatteva, con frequenti capovolgimenti di fronte. Le guerre del Settecento rispondono appieno alla celebre definizione di von Clausewitz (1830)che “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”. Una battaglia vinta portava un vantaggio in sede di trattative; ma, come ad un tavolo di poker, era importante scegliere il momento per chiudere la partita. Mutatis mutandis,(anche quando non si tratta di conflitti armati ma politici)una situazione analoga si riproduce in ogni era post-ideologica. Ed i motivi di confronto potrebbero continuare. Nel 1723, il cardinale Fleury, primo ministro di Luigi XV, si trovò a far fronte alla difficile situazione finanziaria provocata da una spesa pubblica eccessiva. (soprattutto per il mantenimento della corte di Versailles). Fleury sapeva che aggravare una pressione fiscale già troppo elevata, avrebbe compromesso lo sviluppo; si adoperò, allora, con una determinazione inconsueta ai governanti dell’epoca, a ridurre le spese e raggiunse il pareggio di bilancio. A questo punto diminuì le tasse: ciò incrementò il commercio e la produzione manifatturiera. La nuova fase di espansione portò prosperità e maggiori entrate per l’erario. Si potrà dire Fleury, ministro di un monarca assoluto, governava senza doversi misurare con i partiti, i media, le lobbies. In realtà, gruppi di pressione e movimenti di opinione erano influenti anche nell’ancien régime. Il cardinale doveva superare i condizionamenti della corte, dei parlamenti, dei grandi appaltatori delle imposte e non scontentare il popolo di Parigi. Adoperò fermezza e diplomazia. Ma soprattutto aveva chiaro l’obiettivo: per uscire dalla recessione bisognava ridurre il peso fiscale sul Terzo stato e l’iniezione di fiducia avrebbe fatto da volano.
Questo lavoro non intende essere un’esaustiva biografia di Luigi XV, ma esaminare la sua azione di governo nel complesso scenario della politica europea. Il sovrano che regnò sulla Francia per gran parte del XVIII secolo,è stato, di solito, sottovalutato. Tant’è vero che viene ricordato, per lo più, in riferimento ai fasti di Versailles o, di riflesso, attraverso le biografie di Madame de Pompadour, la sua più celebre favorita
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