Gabriele Parenti

                        IL SOGNO  DI AFRODITE,    L’INGANNO  DI APOLLO

 

                                         Prefazione di  Franco Cardini

 

                             EDITRICE  GIAMPIERO   PAGNINI   FIRENZE       2011

                          

Dal la   Prefazione   di  Franco  Cardini 

 

Questo è un libro serio. Non dirò che si tratta anche di un libro “duro”, difficile, in quanto i saggi che lo costituiscono sono tutti piani, scritti piacevolmente (la famosa prosa “semplice, chiara ed efficace” che tutti i buoni direttori raccomandano ai loro giornalisti) e dotati di un sobrio e abbastanza semplice apparato di note: quel tanto che basta a soddisfare il lettore un po’ più esigente e a non scoraggiare quello che si lascia spaventare da una citazione in più. Però, a questo punto, la strategia dell’Autore è evidente, ma la sua tattica resta un mistero: il che inquieterebbe qualunque generale sul campo e qualunque giocatore di war games a tavolino. E’ evidente dove Parenti vuol arrivare, partendo da Mahattan  per arrivare, attraverso Avalon, Camelot, il Monte Gargano, le riserve indiane, Poe e Coleridge, in una labirintica circolazione dall’Isola-che-non-c’è all’Isola-mai-trovata. Il senso di questo libro è pervenire al disincanto dell’Occidente, dimostrare che il nostro infinito  “cercare l’Altro” (per conquistarlo, per derubarlo, per sedurlo, per comprenderlo, perfino per “liberarlo”: e siamo al non-sense dell’”esportazione della democrazia”, che sarebbe ridicolo se non fosse tragico) è stato in realtà, dal Mito ellenico al Postmoderno, un infinito cercare Se Stesso, incappando in infiniti giochi di specchi e arrancando tra i troppi alibi con i quali abbiamo cercato di fornire alla nostra Volontà di Potenza una qualche nobilitante giustificazione. Oggi sappiamo bene che dietro l’eterno inseguire l’Avere per Avere, il Fare per Fare, il Profittare per Profittare, il Consumare per Consumare, la nostra Modernità individualista  e decisa a vivere etsi Deus non esset si era data in realtà in balìa del Nulla, che ha molti nomi e molti volti ma il cui vero nome è Legione; e dal quale si  sfugge soltanto rifugiandosi in Colui che gli ebrei chiamano ha-Shem, il Nome. L’Unico Vero e Ineffabile. Forse, il Postmoderno è questo: ridisegnare la carta del cielo, ritrovare finalmente la rotta.

                                                     

                                                INTRODUZIONE 

                                                        

Cosa hanno  in comune la mitologia ed il linguaggio televisivo?  

La spedizione degli Argonauti, la guerra di Troia, sono evidenti metafore della penetrazione greca nel Caucaso; mentre i ritorni degli eroi, i nostoi, ricordano l’esplorazione del Mediterraneo. Nel ciclo arturiano, Merlino e Morgana, rivelano la sopravvivenza di antiche credenze legate alla natura; Artù impersona la sovrapposizione dei valori cristiani alla cultura celtica. E la queste del Graal rappresenta il legame culturale tra Francia e Inghilterra che, in mezzo a  guerre ed aspre  rivalità, ha però sempre unito i due popoli.     

Il mito veicola informazioni ma ha,soprattutto,una forza evocativa : la reiterazione fatta di ridondanze e d’innumerevoli varianti, crea linguaggi nuovi e significati riposti. Infatti, la comunicazione indiretta è più ricca e complessa ed è stata un formidabile strumento per lanciare messaggi suggestivi. Quando dall’Egitto giunse sulle sponde del  Mar Nero la tecnica di cercare pagliuzze aurifere nei terreni alluvionali utilizzando pelle di arieti, l’importanza dell’evento fu comunicata attraverso il racconto del Vello d’oro.

Ma perché usare il mito per comunicare notizie di carattere storico,economico? George de Santillana ed Hertha von Dechend hanno osservato ne Il Mulino di Amleto che il linguaggio figurato ed evocativo serviva a trasmettere anche  cognizioni  di tipo scientifico  “frammenti di un tutto andato perduto, seducenti e sfuggenti insieme”. 

A torto, dunque, il mito è stato considerato una fase iniziale dell’ evoluzione del pensiero umano destinato ad approdare al logos,come il bambino passa dalle favole alla razionalità.   C'è modo e modo di vivere un mito – ha osservato Marcello Massenzio - può essere letto solo come un racconto e quindi in maniera favolistica ma può essere anche interpretato, con spirito adulto, per coglierne significati più profondi.  

Per Claude Levi-Strauss, la diacronìa del mito oltrepassa il prima e il dopo con un peculiare tipo di linguaggio, come quello musicale. Ma possiamo aggiungere che sono altrettanto rilevanti  i momenti di sincronicità, in cui si uniscono varianze e invarianze. 

L’uso delle metafore offre una lettura più ampia di quella definita dalla parola: in fondo, accade cosi anche in un prodotto televisivo. Dopo aver lavorato ad un  documentario  

mi sono reso conto che esso reggeva bene anche senza testo; anzi, le immagini acquistavano forza, si esaltavano sequenze e particolari non consueti che il testo poneva in sottofondo o banalizzava,  perché eliminava ulteriori possibilità interpretative.  Immagini e musica trasmettevano un messaggio evocativo e lo spettatore poteva  “costruirci” il testo a seconda del suo gusto,della sua sensibilità:poteva porre attenzione agli aspetti  sincronici, al carattere paesaggistico o alla  dimensione storico-culturale, e via dicendo.

Le Sirene omeriche sono una figurazione del "Demone Meridiano" temuto dai naviganti :   la calura estiva, annichiliva la volontà. E Roger Caillois ha osservato che le Sirene sono precedute dalla bonaccia che invita ad abbandonarsi all’ accidia.“ Oggi, invece, domina il demone notturno Gli incubi si chiamano stupri, droga, pirati della strada che si dileguano nel buio,persone che escono di casa e scompaiono nel nulla. Come nel film cult di Quentin Tarantino, Dal tramonto all’alba, il regno della paura.

Per Euripide, a Troia non c’era Elena  ma un suo “simulacro”. Un artificio narrativo per salvare la rispettabilità della regina di Sparta? O si suggerisce che la guerra fu combattuta per motivi ancora più futili? E che le vere motivazioni erano state occultate da una strategia di comunicazione che non si faceva scrupolo di ricorrere ad un plateale falso.

L’isola di Polifemo, una sorta di Eden che Odisseo  non seppe comprendere. Per segnare la supremazia ellenica, c’era bisogno di rappresentare i Ciclopi come rozzi e incivili. In modo non dissimile furono descritti i nativi americani ed i popoli africani dai colonizzatori, dagli avventurieri ,dai mercanti di schiavi . 

La storia è sempre convissuta con il mito. Anche quella moderna che si è avvalsa della narrativa, del romanzo per rivelare la cifra di grandi eventi o di mutamenti culturali  facendo appello a metafore,ad emozioni. Accade in Musil, in Hofmansthal, in Rilke ma anche nell’Alice di Lewis Carrol e nel Pinocchio di Collodi.

Ma quale collegamento può esserci con la televisione?  Quando non veicola prodotti cinematografici, la Tv ostenta un parlare diretto, per rappresentare la vita reale; tuttavia,  adotta un linguaggio simbolico. A cominciare dalle icone del nostro tempo: le immagini-choc dell’attentato alle Twins Towers, i tedeschi che nel 1940 sfilano a Parigi sotto l’ Arco di trionfo, l’attentato di Dallas, i carri armati a Praga e a Piazza Tienammen. Immagini che parlano da sole, divenute “mitiche” a seguito di una reiterazione spesso ossessiva. Viceversa, non abbiamo immagini altrettanto evocative del golpe cileno o di Hiroshima, il dark side dell’ Occidente.

 

SOMMARIO

Prefazione di Franco Cardini

Introduzione

Simbologia delle isole

L’inganno di  Apollo

Il sogno di Afrodite

L’America e il mito dell’ultimo occidente

Il Regno dell’Estate

Il maggio delle rose

Sulle tracce dell’orso

Una notte d’autunno a Berlino

L’ultima seduzione  del demone  meridiano   

Il dilemma di  Socrate

Il mondo perduto di  Polifemo

 

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